Identità e presenza, il dialogo tra ombre, oggetti e memoria

Un percorso artistico che esplora Identità e presenza in Sosia d’ombra: il dialogo tra ombre, oggetti e memoria

Sosia d’ombra

“Affrontiamo il pomeriggio dell’esistenza completamente impreparati; cosa ancora peggiore lo affrontiamo con l’errata convinzione che le nostre verità e i nostri ideali ci sosterranno anche allora. Non è così: non possiamo vivere il pomeriggio della vita come abbiamo vissuto il mattino; perché ciò che al mattino era grande la sera sarà piccolo, e ciò che era vero al mattino la sera sarà diventato menzogna”.

Carl Jung (Gli stadi della vita (1930-1931), in Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino 1976)

 

La frequenza della scuola di scenografia ha favorito l’idea di creare comunanza e relazione tra vari linguaggi e vari contenuti. E l’idea di una messa in scena aleggia sempre nella progettazione di un lavoro. Così, come accade in teatro, ogni opera assume il ruolo di “personaggio” e va cercando un contesto per una relazione. “Per questo gli indumenti non bastano nella loro cruda identità oggettuale, ma vanno ‘atteggiati’ sul piano: devono diventare ‘attori’ su una scena che ne rivelerà una vita nascosta. Possono persino animarsi come dei veri e propri personaggi fluttuanti in un mondo privo di coordinate spazio-temporali: la rappresentazione si risolve infatti sul piano, con movimenti traslati soprattutto sulla superficie del foglio di carta o della lastra calcografica”

Luca Pietro Nicoletti in Sara Montani Vivere l’Arte Antologia critica, p. 125.

Sosia d’ombra è una mostra che indaga il tema dell’identità ed è stata allestita in più versioni. Una prima esposizione è stata Sosia di ombre: declinava la relazione tra opere e contesto. Facendo appello a tanti linguaggi – incisioni, fotografie, sculture, ombre e installazioni – mirava a ribadire il diritto alla propria identità, spesso minacciata da ‘legacci’/chiusure, sempre presenti nei capi di abbigliamento. Sosia di ombre fu allestita a Firenze, alla libreria Seeber, su invito del direttore Paolo Milli, nel dicembre del 2002, poco prima della chiusura della vecchia sede di via Tornabuoni, tanto cara a Croce, Ungaretti, Montale, Vittorini e a molti intellettuali e artisti. Qui le opere furono esposte in vetrina, negli scaffali, tra i libri, mirando ad avere con essi una stretta relazione di significato. Altre opere di grandi dimensioni, irrigidite dalla resina, stavano appese al soffitto, aleggiavano sulle pile di libri con l’intento di dichiarare la propria unicità e il valore della cultura.

Loredano Matteo Lorenzetti, non potendo partecipare alla mostra, mi scrisse:

 

“Cara Sara,
La posta elettronica ci dà occasione di un nuovo incontro. Ho letto ripetutamente le immagini che mi hai inviato.
Parlo di lettura e non di ‘visione’, perché, a mio modo di vedere, si tratta più di leggere significati che non di ‘vederli’.
Credo siano più opere concettuali, matericamente concettuali.
Penso che ogni abito sia comunque una costrizione, anche quando la moda lo impone sotto il profilo della piacevolezza e della seduzione.
L’abito ha a che fare con l’identità e con la sua ricerca, che spesso coincide con l’imposizione di una identità.
Non è quasi mai trasformativo, salvo che nel teatro e nel mascheramento voluto, ma quasi sempre (s-)formativo: ci consegna un’orma, ci dà un’impronta, ci prepara a una forma per qualche vicenda.
Il titolo della mostra ‘Sosia di ombre’ parla di quell’ombra che avvolge la persona nelle fattezze di una veste, qualsiasi essa sia. Come a pronunciare una sorta di oscuramento – o, meglio – di un offuscamento della persona, che diviene (in un certo senso) nascosta dall’abito. Direi abitata dall’abito. Pervasa da tessuti che la ritessono in significati che possono consegnarle una trama d’esistenza impropria.

Ne deriva, assai di frequente, una confusione, non di rado mortificante: l’abito rende oggetto il soggetto. Oggetto di piacere, di lutto, di rinuncia, di violenza... Secondo come lo si ‘addobba’.
Nelle tue opere c’è apparente leggerezza, trasparenza, nella quale affiora ironia. Mi suggerisce l’idea di una ‘ironia della sorte’, di quella sorte a cui l’ombra di certi vestimenti accenna e rinvia.

Per converso, questa ironia della sorte nei tuoi lavori diviene ‘sorte dell’ironia’, cioè ciò che può sortire l’ironia di ombre tissutali sulla pelle della vita delle persone, come veri e propri tatuaggi difficilmente delegabili.
Chiudo queste scarne ed estemporanee sensazioni emerse da alcuni tuoi lavori per questa mostra con un componimento poetico scritto lo scorso anno (durante la malattia e le ospedalizzazioni di mia madre) e che mi sembra in tema con il tuo lavoro.

 

a poco a poco

veste ombre
l’anima tua
quando il dolore avverte
e nel segreto tace
ombre senza nome
subito dimenticate
tu sei fatta d’amore
e solo pronunzi
sorrisi del cuore
tu sei fatta di chiaro semplice splendore
che ogni buio ammutolisce e nel silenzio
a poco a poco
muore

Un abbraccio unito all’amicizia di sempre e alla certezza di un successo per questo impegno artistico”.

Matteo

Negli anni a seguire il lavoro riguardante la ricerca d’identità si fa più convinto e realizzo altre opere che verranno presentate in una successiva e ampia mostra dal titolo Sosia d’ombra presso il Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda, a cura di Cecilia De Carli. Si aggiunge ora un altro “personaggio”, l’ombra, protagonista dell’esposizione come le stesse opere. Si proietta sui muri e si allunga sul pavimento dello spazio espositivo: paiono invertirsi le regole del reale, le ombre divengono soggetti, mentre l’opera la loro proiezione. Più vere sono le ombre, più il reale ne è un sosia. Questa mostra

riflette anche una ricerca centrata sulla tecnica, manipolata in svariati materiali.
La camicia della sala operatoria che in ospedale cancella il nome del paziente conferendogli identità altra – spesso il nome della malattia o addirittura il numero del letto – diventa una matrice che consente a una cera molle di ricavarne in un primo tempo l’impronta e poi, irrigidita con la resina, opportunamente illuminata, proietta ingigantita una grande ombra sul muro. E ai visitatori, obbligati a passare tra camicia e ombra, suggerisce la parvenza di indossare l’ombra.

Qual è il sosia? L’ombra o l’oggetto? Quali sono le relazioni, tra il sosia e l’ombra? E gli altri personaggi? Il sosia rappresenta un baluardo contro la scomparsa dell’Io. È un doppio, per salvarsi dall’annullamento.
Scrive nella presentazione del catalogo che accompagna la mostra Cecilia De Carli: “[...] Avvicinandomi per la prima volta criticamente al lavoro di Sara Montani che in questa mostra personale intitolata ‘Sosia d’ombra’ espone un notevole numero di opere, di diversa natura, ma riferibili a un’unica ricerca, mi ha fortemente impressionato la sua energia progettuale. Si tratta della capacità di mettere in campo, attraverso gli esiti più compiuti del suo lavoro d’artista, la straordinaria possibilità di riconfigurazione dell’esperienza nel suo travaglio di diventare trasmissione culturale e comunicazione. [...]”.

E più avanti: “[...] La Montani trasferisce gli oggetti sulla lastra per contatto, la loro impronta sul rame, sulla masonite, opera con la cera molle su zinco, utilizza il torchio calcografico e tutte le matrici possibili. Ancora elabora le immagini al computer e le pone in dialogo con i capolavori del passato, il battistero di Pisa, l’Annunciazione di Simone Martini, ma anche con i testi scritti, universalmente famosi, come quello sulla prospettiva, recuperando i fili di un esercizio ininterrotto che non si stanca di attraversare la quotidianità dell’esperienza con le categorie della storia dell’arte e la storia con quelle dell’esperienza. Il possibile sospinge il reale oltre la sua datità e lo avvolge in un alone di immaginazione che non cessa d’inquietarlo, di sospingerlo e di prolungarlo in un ulteriore significato