La tecnica come linguaggio: i materiali, forma della memoria

La tecnica la materia e lo spazio come linguaggio: attraversare i materiali, stratificazione per dare forma alla memoria

Nel mio lavoro la tecnica non è mai un punto di partenza neutro, né una scelta puramente formale. Ogni mezzo che utilizzo nasce da un’esigenza precisa: dare forma a un pensiero, rendere visibile una memoria, fissare un’impronta. La varietà delle tecniche che attraverso non è dispersione, ma continuità. È un modo per esplorare lo stesso nucleo concettuale da prospettive diverse, lasciando che sia il materiale a suggerire come procedere.

L’incisione come gesto definitivo

Le incisioni, in particolare l’acquaforte e l’acquatinta, rappresentano per me un dialogo diretto con il tempo e con l’irreversibilità del gesto. Incidere significa scavare, togliere materia, accettare che ciò che viene tracciato non possa essere cancellato. È una tecnica che obbliga alla concentrazione e alla consapevolezza.

L’acquaforte lavora sul segno, sulla linea, sull’ossatura dell’immagine. L’acquatinta, invece, mi permette di costruire campiture, atmosfere, zone di sospensione. In entrambe ritrovo l’idea di impronta: ciò che resta dopo il passaggio della mano, dopo l’azione del tempo e dell’acido.

Con la ceramolle il segno si fa ancora più sensibile. È una tecnica che registra ogni minimo cambiamento, ogni pressione diversa, ogni esitazione. Mi interessa proprio questa sua fragilità, questa capacità di trattenere una memoria intima del gesto.

Unicità e irripetibilità: monotipo e monostampa

Il monotipo e la monostampa introducono un elemento fondamentale nel mio lavoro: l’unicità. Non esiste una copia identica, non esiste una ripetizione controllata. Ogni stampa è il risultato di un equilibrio instabile tra intenzione e caso.

Queste tecniche rendono visibile l’istante, il momento esatto in cui l’immagine prende forma. Mi interessa lavorare su questa soglia, su ciò che accade una sola volta e non può essere replicato. Anche qui, la memoria non è archivio, ma evento.

Tecniche miste: Nel mio processo creativo non cerco la sovrapposizione di strati pesanti, ma una trama unica di fili che si intrecciano. Un tessuto, infatti, non è fatto di livelli separati, ma di elementi che si annodano insieme. L’opera diventa così un luogo di incontro dove il segno inciso, l’impronta e la parola non si coprono, ma coesistono. In questa coesistenza di tracce, il passato (l'oggetto archeologico) e il presente (il mio gesto artistico) vivono insieme nello stesso momento: non è una pila di cose, ma un dialogo vivo dove la memoria riaffiora senza mai nascondere ciò che è venuto dopo.)

Nelle tecniche miste utilizzo oli, chine, collage ed elaborazioni digitali come livelli di un unico discorso visivo. La stratificazione è un elemento centrale: immagini che si sovrappongono, materiali che dialogano, segni che emergono e scompaiono.

Il digitale entra nel mio studio come uno strumento di precisione al servizio della parola. Non lo uso per manipolare l’immagine, ma come un inchiostro della memoria. Attraverso la stampante, fisso testi, riflessioni e frammenti poetici che si integrano nell'opera. Questa parola stampata diventa un ulteriore filo nella trama, una traccia che conferisce ordine e voce al racconto, unendo la modernità del mezzo alla cura artigianale del manufatto. Non sostituisce il gesto manuale, ma lo estende. Mi permette di rielaborare, di intervenire su immagini preesistenti, di creare nuove relazioni. È uno strumento che entra nel processo come un ulteriore livello di lettura, non come scorciatoia.

Installazioni: lo spazio come parte dell’opera

Con le installazioni il lavoro si espande nello spazio. L’opera non è più solo da osservare, lo spazio diventa materia, il corpo dello spettatore entra in relazione diretta con il lavoro.

Mi interessa questa dimensione esperienziale, in cui la memoria non è solo rappresentata, ma vissuta. L’installazione permette di lavorare sulla presenza, sull’assenza, sulla percezione fisica del tempo e della traccia.

Sculture e libri d’artista: dal segno al volume, dalla pagina alla sequenza

Le sculture traducono il segno bidimensionale in volume. La materia trattiene, conserva, rende stabile ciò che normalmente è fragile o effimero. È un passaggio importante nel mio percorso, perché porta il concetto di impronta in una dimensione tridimensionale e tangibile.

I libri d’artista, invece, sono luoghi intimi: piccoli semi curiosi che germinano tra le mani di chi li sfoglia. Il tempo di fruizione e il gesto di voltare pagina diventano un atto di scoperta, un modo per abitare una narrazione fatta di frammenti, carte e inchiostri che invitano al silenzio e alla riflessione.

Una pluralità coerente

Utilizzare tecniche diverse non significa cambiare direzione, ma approfondire la stessa ricerca. Ogni mezzo che scelgo è necessario, perché capace di restituire una specifica forma di memoria, di impronta, di relazione con il tempo.

Il mio lavoro nasce proprio da questo attraversamento: dei materiali, delle superfici, dello spazio. Un percorso in cui la tecnica non è mai fine a sé stessa, ma diventa linguaggio.