Viaggio creativo, percorso artistico nell'Africa interiore

Un’Africa interiore, ascolto lento che guida il mio viaggio creativo, apre nuove prospettive nel mio percorso artistico

La vitalità e la capacità di adattamento dei popoli africani alla loro terra mi hanno sempre suscitato attrazione, ma accostarsi all’Africa per accogliere natura e cultura richiede una grande umiltà. Mi ci sono avvicinata in punta di piedi, sbirciandola, girandole intorno. Un desiderio dilatatosi negli anni, quello di voler porre attenzione a questo mondo, culla della storia e della preistoria, con un ruolo fondamentale nel passato dell’umanità.

Per un incontro con l’ambiente africano aspettavo trepida un’idea che divenisse una sfida affascinante, che mi catturasse. È lievitata un po’ per volta questa voglia, lentamente. Il primo approccio emotivo è avvenuto attraverso la lettura del romanzo La mia Africa di Karen Blixen. Da lì, parecchio tempo dopo, con molta pazienza verso un intimo ascolto e una certa buona dose di fortuna, i tasselli del mio puzzle sono andati al loro posto, fino a rendere il mio fare un insieme coerente.

Nel 1986 ero docente di Educazione artistica nella scuola media. Una classe terza aveva iniziato la lettura del romanzo autobiografico di Karen Blixen con l’insegnante di Lettere così, durante il consiglio di classe, cogliendo la palla al balzo, improvvisai un’idea, comunicandola ai colleghi che subito l’approvarono. Dovendo programmare con i ragazzi attività che consolidassero la compresenza di più discipline per la tesina degli esami finali, spiegai che avrei avviato con loro una serie di composizioni grafico-pittoriche riguardanti l’Africa. Avremmo raccontato la storia del romanzo attraverso elaborati riferiti alle correnti d’arte moderna già in programma.

Erano quelli gli anni in cui il mio tempo veniva assorbito dalla cura dei tre figli e dall’insegnamento: poco o nullo era lo spazio per la mia ricerca artistica. Mi era quindi spontaneo convogliare la mia creatività nella scuola, nel lavoro coi ragazzi, che sapevano cogliere e dilatare abilmente i miei spunti. L’input iniziale consisteva spesso nel proporre alcuni miei progetti che il poco tempo libero da impegni mi impediva di considerare. Collaborare alla realizzazione dei loro lavori, mettendo a disposizione idee e competenze, diveniva quindi gratificante anche per me. E mi appassionava. Era un dialogo e confronto affascinante, spontaneo, libero: i ragazzi erano per me un alternativo “medium” vivente, di meglio non potevo avere!

Insieme potevamo lavorare senza più zone di confine tra “io” e “io”, perché tutto si trasformava in “noi”. L’importante era però individuare e concordare la motivazione e la progettualità attraverso le quali prendevano forma i risultati. E tutti dovevamo esserne soddisfatti.

È proprio in questo stimolante progettare corale che affondano le radici della mia esigenza di un lavoro a più voci, ripetutosi, anche successivamente, all’interno di contesti sociali collettivi.
Devo anche evidenziare che costruire progetti all’interno della programmazione didattica di classe è stato sempre un mio punto fermo: il ruolo dell’arte si avvalora in quanto lettura della storia dell’uomo quindi, lavorando al testo La mia Africa, i ragazzi avrebbero potuto spaziare liberamente nelle diverse discipline, argomentando di geografia, storia, società, arte e tecniche espressive. Così avvenne. Scelte le pagine preferite, ogni ragazzo avviò il proprio lavoro procedendo nell’elaborazione dei contenuti, utilizzando la tecnica pittorica preferita e la corrente d’arte moderna studiata a lui più congeniale. I ragazzi si appassionarono molto al lavoro: ognuno era libero di fare scelte personali di contenuto e di linguaggio grafico e questo creò in classe un clima frizzante.

Mi sentivo alleggerita e, in qualche caso, anche un po’ messa in disparte. I ragazzi stavano crescendo velocemente e divenivano sempre più sicuri delle loro scelte. Non ero più io a dare le consegne ma loro stessi a decidere del loro lavoro. Aiutarli a esprimere al meglio il loro pensiero era il mio compito. Le esperienze pittoriche di arte moderna, proprie della programmazione di Storia dell’arte, furono approfondite a livello personale. Per operare una scelta, tuttavia, bisognava conoscerle tutte, valutando anche il processo tecnico di realizzazione dell’elaborato. Così i ragazzi ascoltavano con più interesse le lezioni. Il piacere della ricerca e della scelta contagiò tutti, anche i soliti restii. Impressionismo, fauvismo, espressionismo, cubismo, astrattismo, futurismo, dadaismo, surrealismo divennero quindi contenuto di vivaci confronti e approfondimenti. I lavori dei ragazzi mi lasciarono stupefatta sin dall’avvio. Oltre alle argomentazioni, andavano via via emergendo le abilità e le competenze specifiche di ognuno. Maggiori di quanto mi aspettassi. Avevo richiesto che affiancassero all’elaborato grafico anche un testo scritto che doveva riassumere e motivare la scelta delle pagine del romanzo. Questa attività ci coinvolse ed entusiasmò talmente che decidemmo di farla conoscere ai genitori dei ragazzi raccontando il libro della Blixen attraverso la presentazione dei lavori realizzati – dalla modalità tecnica di esecuzione agli spunti suggeriti dalla corrente artistica a cui si erano ispirati – con la proiezione di diapositive degli elaborati e la lettura dei testi esplicativi.

Un vero e proprio approccio alla lettura dell’opera d’arte.
Non un lavoro da poco la realizzazione di una presentazione così articolata, a livello sia individuale sia di impegno di classe. Bisognava fotografare i disegni per trarne le diapositive, definire i testi, organizzandoli in sequenza secondo i contenuti del romanzo, e allestire la classe esponendo tutti i materiali di lavoro unitamente a cartelloni riguardanti le correnti artistiche considerate. Poi, perché il tutto avesse una buona riuscita e i ragazzi beneficiassero della stima dei genitori, era necessario fare alcune prove di presentazione. Un lavoro impegnativo, svolto con serietà e divertimento dalla classe, in un vociare di scambi e libertà assoluta di movimento, di confronti e aiuti reciproci, in un apparente disordine dove ognuno perseguiva i fini che si era proposto e a me spettava solo il compito di “dirigere il traffico”, capire le necessità, risolvere dubbi e dare suggerimenti, confortando e spronando i ragazzi più fragili. Un impegno diverso, comunque non facile. Anch’io scelsi la mia frase e la lessi, ma non realizzai alcun lavoro.

Grazie all’interazione e alla partecipazione attiva di tutti i ragazzi il risultato fu un successo inaspettato, un’esperienza significativa e di autostima che gratificò tutti. Me per prima.